Effetti collaterali indesiderati
di Lucia Confalonieri
Le recenti “censure” di alcune Big-Tech – segnalazione dei post di Donald Trump come pericolosi o falsi e rimozione successiva del suo account dalle principali piattaforme, Facebook e Twitter in primis – s’incrociano strettamente con i recenti fatti traumatici della politica americana, anche se il loro impatto va ben oltre gli USA.
In particolare queste censure hanno avuto un effetto immediato sui supporter radicali di Donald Trump e più in generale sui movimenti di estrema destra negli USA.
Un effetto analogo si è verificato su un altro versante, apparentemente distante dalla politica, quando Whatsapp ha deciso di cambiare i termini del servizio e, in caso di non accettazione da parte dell’utente, di precluderne l’accesso.
Il legame tra i due fenomeni è la migrazione verso altre piattaforme di nicchia, ambienti di messaggistica, come Signal e Telegram e social network minori.
In particolare tra chi ha scelto tali piattaforme alternative a Whatsapp c’è anche una rappresentanza della galassia dell’estrema destra americana, che spazia dai Boogaloo Bois ai Proud Boys, ai seguaci di QAnon fino ai follower di #Stopthesteal e ai No-Vax radicali. Il rimanente della galassia ci è arrivato dopo che Amazon ha spento i server che ospitavano la piattaforma di nicchia Parler, tradizionalmente utilizzata dagli estremisti di destra mentre Apple e Google l’avevano tolta dai rispettivi store.
In un recente articolo la CNN racconta che questi utenti si sono spostati dalle barricate fisiche di Capitol Hill alle piattaforme di messaggistica alternative a Whatsapp e – aggiungono alcuni esperti di sicurezza – questa migrazione è caratterizzata da un messaggio unificato di odio rivolto sia al potere della parte politica avversa, identificata nei democratici americani, che alle Big-Tech.
In questo caso la piattaforma scelta per la migrazione è soprattutto Telegram, fatto confermato anche da Insider in quanto tale piattaforma presenta due caratteristiche confacenti gli obiettivi eversivi di questa tipologia di utenti: viene svolta un’attività di moderazione molto blanda (anche se c’è appena stata una promessa di rafforzarla da parte della società) ed è disponibile una funzione di ricerca per reperire soggetti omogenei ad una certa linea di pensiero.
Infatti, secondo Angelo Carusone – fondatore e CEO di Media Matters for America, intervistato da CNN – questi utenti stanno sfruttando queste caratteristiche di Telegram per “cercare nuovi adepti” scambiandosi anche indicazioni tattiche per il reclutamento, quali ad esempio usare un linguaggio pseudo-moderato in modo da attirare il maggior numero di persone possibili.
Inoltre, secondo l’FBI, dopo il cambio di piattaforma diventa molto difficile monitorare questi personaggi (i cui account precedentemente erano noti e quindi tracciabili) così come è improbabile trovarli casualmente.
Sempre secondo l’FBI, questo, unitamente al fatto che c’è una tendenza a organizzare “proteste armate” – su scala minore rispetto all’attacco di Washington – contro i parlamenti dei vari stati, indirizzando target più specifici (vedi il piano, per fortuna sventato, di rapire la governatrice del Michigan) rende più difficile individuare nelle pieghe della piattaforma di messaggistica le persone coinvolte in tali iniziative.
Un metodo questo, insieme alle modalità soft di reclutamento in rete dei nuovi adepti, utilizzato a suo tempo dall’ISIS.
Ovviamente non si tratta di demonizzare Telegram e Signal ma è bene diventare consapevoli che anche piattaforme generaliste possono diventare terreno di organizzazione di azione eversive e di reclutamento di nuovi adepti, oltre che di propaganda di notizie false.
Secondo altri osservatori, come ad esempio Ethan Zuckerman, blogger ed esperto di nuovi media, recentemente intervistato da Repubblica, il fenomeno di rimozione (“deplatforming”) di Trump e di molti suoi seguaci dalle maggiori piattaforme può stimolare importanti cambiamenti online, come ad esempio un’accelerazione nella frammentazione dei social media per linee ideologiche. In ogni caso secondo Zuckerman “Trump attirerà un sacco di pubblico ovunque vada il che potrebbe significare più piattaforme con un pubblico più piccolo e più ideologicamente isolato”.
Secondo il New York Times e Insider invece ci sarà un fenomeno misto, già parzialmente visibile in particolare dopo lo spegnimento di Parler: lo spostamento su piattaforme di nicchia (social network o ambienti di messaggistica), tra cui Gab (un equivalente, anche in termine ideologici, di Parler), MeWe, Rumble and CloutHub, insieme all’infiltrazione su piattaforme più note come Telegram e Signal.
Ma il problema riguarda anche l’Italia e l’Europa?
Certamente si. Un caso analogo è avvenuto in Italia con Casa Pound la cui emanazione editoriale, “Il primato nazionale” è stata bannata da Facebook. Più in generale lo scorso maggio il Copasir (Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica) ha lanciato un allarme perché allo scoppio della pandemia l’Italia è stata ritenuta un terreno fertile per la propagazione di fake news – molte provenienti dai siti di QAnon e No-Vax – aventi l’obiettivo di destabilizzare l’Unione Europea (notizia ripresa da tutti i quotidiani, tra cui Repubblica e agenzia di stampa).
Come dice Luciano Floridi, filosofo e Direttore del Digital Ehics Lab di Oxford: “«Facebook e gli altri sono giganti fragili e gli Stati hanno il potere e il dovere di intervenire. Ma dire che la legislazione non è in grado di rincorrere la tecnologia è una panzana. Perché non deve rincorrerla, ma direzionarne lo sviluppo»
E infatti l’Unione Europea, che ha già prodotto con il GDPR la normativa più avanzata al mondo per la protezione dei dati, sta lanciando un’iniziativa simile per regolamentare contenuti e dinamiche di mercato in rete, rispettivamente con il Digital Services Act e il Digital Market Act.
Di fronte quindi all’assenza di governance da parte degli USA che hanno lasciato al mercato la propria autoregolamentazione (Big Money) o al pugno di ferro esercitato dal Partito Comunista in Cina (Big State) si contrappone la strada del diritto dell’Unione Europea, attraverso la condivisione di strumenti legislativi sovranazionali (Big Law).