di Franco Marra — dedicato a una amica che non è più tra noi e alla quale credo sarebbe piaciuto.
Il modello di business basato sulla pubblicità che domina su Internet è spesso molesto e può essere irrispettoso della nostra privacy.. Le continue richieste di autorizzazioni, le interruzioni, i contenuti pubblicitari indesiderati rendono spesso difficoltosa e spiacevole la nostra esperienza di navigazione. Nel corso di questo articolo si suggeriscono strumenti che limitando la raccolta dei dati o proponendo modelli di business alternativi, meno molesti, e talvolta di tipo partecipativo si candidano all’uso in sostituzione delle soluzioni più tradizionali.
Partiamo da due considerazioni.
Predicare bene e razzolare male è sempre meglio che predicare male e razzolare uguale. Ma predicare bene e razzolare di conseguenza è probabilmente la scelta (eticamente) migliore. Questa è la prima considerazione. Molto astratta, come vedremo dopo.
La seconda riguarda i grandi numeri di cose piccole. Una cosa piccola è una cosa di cui nessuno parla. Però tante cose piccole insieme che fanno una stessa piccola azione diventano una forza devastante di cui parlano tutti. Tante gocce di umidità che si spostano in un’unica direzione sono capaci di sconvolgere vaste zone in varie parti del mondo, e modesti aumenti energetici dovuti al riscaldamento globale rendono il fenomeno preoccupante anche nel nostro casalingo mediterraneo. Questa è la seconda considerazione. Ora proviamo a metterle insieme.
L’ecosistema di Internet è una struttura a più livelli. Nelle strutture a più livelli ognuno di questi può avere delle caratteristiche emergenti che non sono presenti nel livello sottostante: questo è il motivo per cui le case non sono fatte come i mattoni. Nel nostro caso, i pacchetti IP (i mattoni) sono tutti democraticamente uguali, ma sul livello che li sovrasta, il web, la musica è diversa perché è orchestrata da un gran numero di “piccoli” suonatori. Tutti questi musicisti sono spesso intelligenti quanto basta per riuscire a raccogliersi intorno a dei temi comuni, e produrre a volte importanti, a volte stupide musichette. Ma che fanno da coagulante. Per effetti importanti, come predetto dalla seconda considerazione.
Il favorire le concentrazioni è una caratteristica delle reti auto-organizzanti; quelle fatte da tanti piccoli amici che fanno tante piccole cose insieme. Le reti neurali biologiche si sviluppano così, da quella del verme Caenorhabditis Elegans a quella del Sapiens. Quelle sociali anche. Sul web questi coaguloni sono collettivamente noti come GAFAM (Google, Apple, Facebook, Amazon e Microsoft, ma altri stanno competendo per le prime posizioni). Come le masse tumorali che usano la circolazione del sangue, queste concentrazioni prosperano grazie a sistemi di alimentazione particolari: i loro modelli di business. I nutrienti sono i nostri dati.
Ora torniamo alla prima considerazione, cercando di tratteggiare una possibile terapia anti-GAFAM. Un’idea potrebbe essere di togliere i nutrimenti. I GAFAM hanno sviluppato appositi circuiti alimentari che si sono infiltrati nelle nostre abitudini, condizionandoci. Alcuni sono piuttosto espliciti, come Facebook, un imbuto in cui riversare opinioni e sentimenti. Altri fanno lo stesso, ma sono un po’ più fighi, come Linkedin; sono progettati per raccogliere informazioni di maggior valore per lo stesso padrone (Meta). Altri ancora lo fanno un po’ più di nascosto, come Whatsapp e Ricerca Google: li si usa per comunicare e cercare, ma inconsciamente rilasciamo i nostri dati. Poi abbiamo Maps per navigare etc; è inutile qui cercare di elencarli tutti, li usiamo tutti i giorni, in particolare sotto la loro forma più diffusa, quella di App sullo smartphone. Quindi la terapia è semplice: evitarli, come certi cibi per il colesterolo. Razzolare bene. Ma cerchiamo di non fare ideologia. Se io uso (e lo uso tanto) il cloud di Google (con cui sto scrivendo questo articolo), lo uso perché è una bomba di software che mi dà tanti vantaggi. Mi aiuta a fare meglio quello che altrimenti farei peggio. E mentre scrivo ascolto Youtube Music (a cui sono abbonato), la cui intelligenza artificiale mi propina lunghe playlist della musica che lei pensa che a me piaccia, e spesso ci azzecca. E quando vado a Genova uso Waze o Maps per capire quale evitare tra la A7 e la A26. E Facebook? Con FB ho ritrovato amici che vivono negli USA e che avevo perso di vista da decenni, e con i quali condivido gustosissime pagine di nonsense dovute alle comuni deviazioni mentali che ci avevano resi amici. No, non me ne vergogno e non ho nessuna intenzione di smettere. Linkedin onestamente lo trovo un po’ palloso (forse troppi monager, come diceva un mio ex-capo del personale, di Padova).
Ma se accedo ad un sito con Chrome sono asfissiato da interruzioni, pubblicità, blocchi di pagina, video non richiesti. Da piccolo mi avevano insegnato che non si interrompono le conversazioni altrui. Ma evidentemente i pubblicitari hanno ricevuto un tipo di educazione molto più permissiva di quella che ho ricevuto io. E allora ecco lo stimolo per iniziare la cura, perché la patologia è diventata insopportabile, e mi provoca eruzioni cutanee, e pruriti, e cadute dell’umore. E quindi mi metto a razzolare bene, facendo le cose che predicavo. Finalmente, direte voi! Sì, ma limitatamente, umanamente, non eroicamente, rispondo io. Però progressivamente. Per ora è una brezzolina, ma ne parlo, facciamola diventare un uragano. Colpiamo al cuore i GAFAM nel loro modello di business principale: la pubblicità. Affamiamoli un po’!
Avete mai provato ad usare Brave o Mullvad al posto di Chrome o Edge? Beh provate e esperienzagite: poi mi direte! Provare è faticoso, perché vuol dire superare la barriera di accesso dovuta alle nostre abitudini, ma al di là del ponte c’è il premio immenso di poter navigare finalmente liberi da scassamenti di cabasisi nella ragionevole consapevolezza di non essere cibo per orchi (“don’t feed the troll!”).
So bene che senza un premio nessuno si muove, e trovo anche che questo sia umano ed etico. Savonarola è finito sul rogo probabilmente spinto dal gusto che gli dava fare la prima donna nella Firenze rinascimentale, esagerando con il suo razzolare bene. I razzolatori di bene a prescindere, di solito provocano infiniti danni e dolori. Secondo me chi razzola bene per un premio e non per fare l’eroe, rientra, come dice il grande Cipolla, a pieno titolo nel quadrante dell’intelligenza, perché facendo il vantaggio proprio fa anche quello degli altri.
E poi si imparano cose nuove: Tor, VPN etc. E viene voglia di continuare, perché fatti non foste a viver come bruti: e ci scappa fuori Signal al posto di Whatsapp, e Mastodon al posto di Facebook, e altri ancora come Matomo al posto di Google Analytics, di cui non parlo perché, come diceva l’Aretino del Cristo, non lo conosco.
E poi ancora è come scrollarsi di dosso la cupa coltre dei mercanti del tempio, e tornare un po’ a quando Internet era la prateria di alte erbe in cui cercare le tue sfide e la tua libertà, e bianchi cavalieri facevano codice per il solo gusto di farlo e di sfidarsi a vicenda in romantiche galoppate sui sentieri degli algoritmi. Ora forse, finalmente, l’Open Source si è coagulato (anche lui!) in prodotti veri, perdendo quella sacralità che lo rendeva settario.
Approfittiamone, e tutti insieme, in tanti, alziamo il vento, e che diventi tempesta!