Veganesimo digitale

29 Giugno 2024

scritto da Marco Pozzi ([email protected]).

Qualche giorno fa ho visto il documentario Food for profit, sugli allevamenti intensivi, e i maltrattamenti sugli animali, stipati l’uno sull’altro in spazi angusti, costretti ad esistere solamente per rifornire l’industria alimentare coi loro corpi, sottoposti a inverosimili crudeltà. C’erano manipolazioni genetiche, galli progettati senza piume, per efficientare il processo industriale di spiumaggio e diventar più velocemente carne da vendere; c’erano bovini a doppio strato di muscoli, pesanti una tonnellata, che a fatica si reggevano sulle gambe, con molteplici problemi di respirazione e circolazione. Ecco, a me quegli allevamenti intensivi hanno ricordato i datacenter: stessi capannoni, stessa protezione intorno, stessi accatastamenti di animali o di server. I datacenter come allevamenti intensivi di dati, luoghi di sfruttamento, di accumulazione compulsiva e capitalistica, dove l’essere umano è convinto di potersi permettere qualunque cosa a suo gusto e piacimento, con l’intera Natura al suo servizio. Tutto ruota intorno ai soldi – guadagno! guadagno! guadagno! – e il sistema è ormai talmente pervasivo e potente da sembrare inarrestabile, tanto inarrestabile da far paura, un’essenza mostruosa che pulsa e si tramanda per suo conto, assecondando forze mistiche contro il benessere della specie umana. Come possiamo vivere bene, noi umani, se mangiamo carne zuppa di tanta ingiustizia e violenza, oltre che carica di antibiotici e germi? Assorbiamo negatività, assorbiamo il Male, ci contaminiamo; il nostro essere non può non risentirne. Allo stesso modo, in senso immateriale, nutriamo i nostri occhi e le nostre menti di dati, che ormai si generano e riproducono compulsivamente, incessantemente, terribilmente; e se i soldi sono l’unico motivo per cui li si manipola, provocheranno maltrattamenti ai dati, che svilupperanno malattie e trasmetteranno una qualità così scadente da attentare al benessere degli esseri umani, visto che tutti si cibano di dati come si cibano di carne.

Inoltre gli allevamenti intensivi sono giganteschi incubatori virus, che possono svilupparsi fra animale e animale, evolversi e spargersi nel mondo, pronti per passare agli esseri umani; così nel digitale, dove tutto è connesso, dai grandi datacenter i virus informatici potrebbero contaminare, danneggiare, bloccare i sistemi informatici del mondo. Più si accentra il potere, più si amplia il raggio dei suoi effetti, che siano voluti o non voluti, a buoni o cattivi scopi: la pandemia è sempre dietro l’angolo; o forse è già in corso, è sempre in corso, ma ne siamo assuefatti a tal punto da non farci più caso. È come l’aforisma sulla fine del mondo: la fine del mondo è già avvenuta ma non ce ne siamo accorti.

E poi c’è un’altra similitudine fra digitale e alimentare. Nel documentario parte dell’inchiesta si svolge a Bruxelles, negli uffici delle istituzioni europee, con riprese a telecamera nascosta. Là i lobbisti dell’industria alimentare influenzano il processo decisionale del Parlamento europeo, con incontri privati, contrattazioni, elargizioni, persuasioni… tutto affinché il modello dell’allevamento intensivo prosperi, persino attingendo a piene mani a contributi pubblici, dalle tasse dei cittadini europei. Allo stesso modo a Bruxelles, vicino al Parlamento europeo, hanno sede le grandi multinazionali digitali, comode per poter influenzare le decisioni politiche e non veder compromessi i propri privilegi: l’Europa non potrà essere indipendente, le sue scelte non devono scontentare i potenti ora in auge. È un nodo chiave questo: un guinzaglio da cui sembra non ci libereremo mai.

E poi, altro punto chiave. Nel documentario alcuni politici intervistati ammettono che possano esserci storture negli allevamenti intensivi, ma che da questi non si possa prescindere, siccome la produttività dev’essere alta, sempre più alta, per reggere la concorrenza dei “competitor”. Per il competitor s’intende la Cina. Cioè: i cinesi adottano questo modello senza problemi, dobbiamo adeguarci anche noi europei per non restare indietro. Ed è ovviamente curioso, che noi parliamo di diritti e democrazia e poi in fondo la Cina sia lo standard rispetto al quale ci tariamo; e ci battiamo per questo, difendendolo anche nell’aula più solenne delle politica continentale. Dobbiamo fare come loro, e nell’empito a non restare indietro rispetto a loro giustifichiamo a noi azioni che comunemente tutti riterremmo negative, se non addirittura riprovevoli. Siamo a un passo dal progettare anche noi grattacieli con milioni di animali gestiti da sistemi meccanizzati, in loculi piccoli e artificiali, senza veder mai la luce del sole né conoscere aria che non arrivi filtrata dai condizionatori? È davvero lì che vogliamo arrivare? Questo è il fine che desideriamo davvero conquistare?